Giovanni Guaccero & Choro de Rua
music by G. Guaccero
(CD, AlfaMusic, 2016) - Egea
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2007
Recital di canzoni su testi poetici a cura di Giovanni Guaccero
Parte 1) musiche di G. Guaccero su testi di Francesco Randazzo, Maria Lúcia Verdi, Normanno, Geraldo Carneiro
Parte 2) musiche di Tom Jobim, Carlos Lyra, Francis Hime, Baden Powell, Toquinho su testi di Vinicius de Moraes
DURATA: 80’
ANNO DI PRODUZIONE: 2007
44° Festival di Nuova Consonanza / Accademia Americana, Villa Aurelia (Roma, 04/11/07)
Sandra Del Maro voce
Giovanni Guaccero pianoforte
Matteo Pezzolet contrabbasso
Alessandro D’Aloia batteria
con la partecipazione di
Gabriele Coen sax
Rosalia De Souza voce
Brani con musiche di Giovanni Guaccero:
Brani su testi di Vinicius de Moraes:
Lo spettacolo, nel quale si esplora il mondo della cosiddetta “canzone di poesia”, consta di due parti.
Nella prima si presentano canzoni in cui i versi dei poeti italiani Francesco Randazzo, Maria Jatosti, Normanno, e dei brasiliani Maria Lúcia Verdi e Geraldo Carneiro sono stati messi in musica da Guaccero, spaziando nell’ampio territorio della forma-canzone, intesa come luogo in cui l’intuizione poetica e musicale si fondono. E’ anche il tentativo di creare un nuovo repertorio, basato un’idea di “canzone di poesia”, genere che in Italia non si è mai pienamente sviluppato, a differenza di altre nazioni come la Francia o il Brasile. In questo senso il termine “canzone” è da intendere in una accezione molto ampia, in cui un approccio strumentale di carattere lievemente jazzistico si fonde con una vocalità morbida e intensa, dove la parola, cantata, sussurrata, detta – come in un lied o in una bossa nova – è posta al centro dell’incontro tra musica e letteratura.
La seconda parte è invece interamente dedicata alle canzoni del grande poeta e cantautore brasiliano Vinicius de Moraes, simbolo tra gli anni ’50 e ’70 di quella realtà culturale brasiliana in cui il piano del colto e del popolare interagivano fruttuosamente, spaziando nel suo vasto corpus di pezzi scritti in collaborazione con i maggiori compositori brasiliani che insieme a lui hanno firmato alcune delle pagine più significative della bossa nova e del samba: Tom Jobim, Carlos Lyra, Chico Buarque, Baden Powell, Francis Hime, Edu Lobo e Toquinho. Grandi classici come, Chega de saudade o Canto de Ossanha, saranno intercalati da brani meno conosciuti riscoperti dal gruppo (Modinha, Canto triste, Sem mais adeus) e da alcune poesie dello stesso Vinicius.
La cosa da cui partire mi sembra un numero di Avanguardia, rivista romana diretta da Gianni Rodari, che aveva reagito a un Festival di Sanremo del 1956, chiamando vari intellettuali italiani a esprimere la loro opinione sulla qualità della canzonetta. Diceva il titolo: “Chiediamo per le nostre canzoni le parole dei poeti”. Diversi intellettuali avevano risposto. Senz’altro l’intervento più interessante fu quello di Pier Paolo Pasolini.
Umberto Fiori, 2004
Non vedo perché sia la musica che le parole delle canzonette non dovrebbero essere più belle. Un intervento di un poeta colto e magari raffinato non avrebbe niente di illecito. Anzi, la sua opera sarebbe sollecitabile e raccomandabile. Personalmente non mi è mai capitato di scrivere versi per canzoni: ossia, come alla maggior parte dei miei amici non mi si è presentata l’occasione. (...)
Quanto a me, credo che mi interesserebbe e mi divertirebbe applicare dei versi ad una bella musica, tango o samba che sia.
Pier Paolo Pasolini,1956
Ho smesso di scrivere canzoni perché mi sono accorto, innanzitutto, che le puoi fare se hai, per dir così, il musicista a portata di mano, e poi perché mi sono accorto che continua a esserci una resistenza, non psicologica, ma della lingua poetica, a quel tipo di poesia che va bene per la canzone.
Franco Fortini
La verità è che la parola veramente poetica contiene già la propria musica e non ne tollera un’altra.
Eugenio Montale,1963
Montale (...) vedeva nel rapporto tra musica e parole un pericolo per la poesia, il pericolo di metterla al servizio di un’altra arte e quindi ridurla a una posizione ancillare, perdendo così la purezza della parola poetica. Ecco, forse è questo il problema più duro da superare in Italia. Problema che viene affrontato, e viene anche in qualche modo superato, da uno dei gruppi che più si oppongono a questa visione di poesia pura (...), cioè dal gruppo che fa capo alla rivista bolognese Officina.
Umberto Fiori, 2004
(...) ...naturale è che agli storici della letteratura interessi soprattutto la nativa autonomia della creazione letteraria: il subentrare al tipo trovatoresco del poeta-musico d’un tipo nuovo, diciamo umanistico, di poeta-letterato, il quale opera solo sulla materia verbale, certo attenendosi a una tradizione di schemi strofici originariamente vincolati alla forma musicale e sempre suscettibili d’una riattualizzazione della loro potenziale musicalità, ma svolgendo la propria attività compositiva su un piano d’autonomia tecnica ormai piena (...).
La realtà è che in Sicilia, e in generale in Italia, le forze propulsive della cultura più elevata si affidavano a un indirizzo di studi cui la musica era sostanzialmente estranea, quanto meno marginale. Il nucleo più consistente della Scuola Siciliana è costituito da notai, giudici, alti funzionari di cancelleria: tutti forniti d’una eccellente preparazione retorica e giuridica, non però musicale.
Aurelio Roncaglia, 1978
Nelle lettere brasiliane (e non solo brasiliane) quello di Vinicius de Moraes è un caso limite. Da Davide in qua, il potente che si fa giullare, e sia pure giullare di Dio, è stato sempre oggetto di scandalo. Il medioevo separava, isolandoli in precise categorie sociali, i trovatori inventori di poesia e i giullari esecutori e mal tollerava processi di osmosi fra le due classi (...). Per il musico-poeta che, appartenendo per estrazione alla prima classe, dei trovatori dilettanti e disinteressati, si collocasse funzionalmente nella seconda schiera, dei giullari professionisti e girovaghi, si era coniata addirittura, in area medievale iberica, una precisa denominazione distintiva. Non più trovatori, i transfughi scendevano a segréis. Sono passati più di sette secoli. Ma la casta dei poeti laureati, dei trovatori dilettanti, mal tollera anche oggi la presenza nelle proprie file di giullari professionisti, di cantori-esecutori di poesia, di poeti cantautori capaci di esibire se stessi e la propria arte dinanzi a un pubblico da divertire. Specie quando il transfuga non sia un qualunque poeta della domenica, ma uno dei “grandi” di una letteratura: con tutte le carte in regola sotto il profilo della professionalità (qui in accezione elitaristica). Forse Vinicius de Moraes è stato l’ultimo segrel. E per questo la sua platea era vasta come il mondo.
Luciana Stegagno Picchio, 1980